Colossesi 4, 2-4 – Mistero, misteri (J. Perrin)

La preghiera è riconoscenza ma subito dopo è anche intercessione, cioè preghiera per gli altri. Paolo si raccomanda: “Pregate nello stesso tempo anche per noi, affinché Dio ci apra una porta per la Parola e che sia annunciato il mistero di Cristo a motivo del quale mi ritrovo prigioniero” (v. 2-3). Paolo è prigioniero, concretamente prigioniero, perché ha predicato il mistero di Cristo, l’Evangelo. Allora egli chiede aiuto ai cristiani di Colossi e li invita a pregare per lui e per i suoi compagni. E che cosa chiede l’apostolo incarcerato? Chiede che i colosessi preghino affinché Dio apra una porta per la Parola. Non è bella, non è fantastica, questa espressione? Paolo non chiede la sua liberazione, chiede che sia la Parola a poter trovare un via di fuga, uno sbocco; chiede che la Parola sia liberata. L’immagine colpisce. Paolo è in prigione, non può più annunciare l’Evangelo. Anzi, è proprio in prigione a causa della predicazione. L’importante per lui è che la Parola di Dio, il mistero di Cristo, non vadano persi con la sua incarcerazione. Per la paura che l’annuncio della Parola si spenga con lui in carcere, Paolo esorta i colosessi a pregare per la Parola affinché Dio non la lasci cadere nel nulla. Le parole di Paolo costituiscono un incoraggiamento per i colossesi a perseverare nella preghiera e nella predicazione, nonostante la sua assenza. Ciò che deve crescere non è la fama dell’apostolo ma il mistero di Cristo. Ciò che conta non è la sorte del leader carismatico ma la buona notizia della rivelazione. Certo Paolo spera con tutte le sue forze di proseguire la sua missione (v. 4) ma nel frattempo, nel tempo buio della prigionia, la Parola non si deve fermare per nessun motivo.

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