2Corinti 5,12-21 (di Salvatore Ricciardi)

L’espressione “essere in Cristo” può essere letta a partire dall’essere umano: è “in Cristo” chi conduce una vita particolarmente pia; oppure è “in Cristo” chi ha lasciato questo mondo, e in tal caso l’affermazione offre una insostituibile consolazione. Ma l’espressione può anche essere letta a partire da Cristo, cioè dalla sua morte e dalla sua risurrezione, e in tal caso diciamo che è “in Cristo” chi, nella fede, beneficia della sua opera. L’opera di Gesù si può considerare sotto tre punti di vista.

1) È  in primo luogo un’opera di salvezza. Da che cosa? Dal peccato, prima di tutto. Sembra un’affermazione ovvia, ma non fa male ripensarci. La nostra idea di salvezza è in verità piuttosto approssimativa, e ciò dipende dal fatto che abbiamo un’idea superficiale del peccato. Le parole “salvezza” e “peccato”, usate come termini appartenenti a un lessico religioso, hanno bisogno di essere riqualificate, e considerate come parole che descrivono la nostra condizione davanti a Dio. E solo se prendiamo sul serio la nostra condizione di gente schiava del peccato e lontana da Dio, possiamo prendere sul serio la sua salvezza, cioè il fatto che Dio non ci abbandona in balìa del peccato e della morte, ma si porta accanto a noi e ci perdona, facendo di noi i suoi figli e le sue figlie grazie alla morte e alla risurrezione di Gesù.
2) L’opera di Gesù è poi una nuova creazione. Grazie a Lui tutta la nostra vita può essere considerata sotto una luce nuova. Dove dominava il peccato, regna la grazia, dove avevamo per Dio un rispetto fra il superficiale e il timoroso,  ora è possibile una relazione piena da genitori a figli, e possiamo cogliere con piena fiducia l’invito che tutta la Bibbia ci rivolge: Non temere! Possiamo guardare con speranza e con fiducia alla vita come dono di Dio e promessa del suo Regno. Possiamo guardare con apertura all’altro, all’altra, chiunque sia, perché Dio ci restituisce come fratelli e come sorelle le persone che la storia, le culture, e perfino le religioni ci hanno reso estranee, se non nemiche. Tutto ciò non è una plastica dello spirito. È una novità che Dio opera in noi e per noi, senza distruggere la nostra identità, ma ricostruendola.
3) L’opera di Gesù ha una portata universale. Dio riconcilia con sé il mondo, non solo la chiesa. Questo ci chiama alla responsabilità di testimoni della riconciliazione, non solo nel quadro della famiglia o della comunità, ma nel quadro della vita in tutti i suoi aspetti. Testimoniare la portata universale della riconciliazione è dire no a sistemi politici che si reggono sulla sete del potere, sulla menzogna, sull’abuso, sulla forza del denaro con cui si vedono e si comprano le persone… e non sempre e non solo i poveri diavoli. Testimoniare la portata universale della riconciliazione è ricordare ai potenti che il loro potere sta nel servizio, scopo del quale è far sì che gli essere umani di cui sono più direttamente responsabili possano vivere con dignità.

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Sermone del 15 maggio 201118.78 KB
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