Genesi 12, 1-4a – In nome di una promessa (J. Perrin)

La terza storia di risposta all’appello del Signore è forse quella più dolorosa. A oggi, 8 luglio, sono 58 le donne che sono state uccise dal marito o dal compagno dall’inizio dell’anno. Dieci donne al mese, più di due alla settimana, sono vittime della violenza selvaggia dell’uomo con cui hanno scelto di vivere. Perché propongo questo esempio? Perché anche in questo caso siamo di fronte a un’esistenza che deve ascoltare l’appello del Signore e la sua promessa. Sappiamo che spesso – in più della metà dei casi – le donne vittime di violenza domestica soffrono in silenzio, rimangono nella terra sterile dell’abuso e della sottomissione. Non per scelta, ma per paura, per impotenza, per vergogna. Forse qualcuno penserà: queste cose accadono solo nelle famiglie straniere, o nelle famiglie ancora molto patriarcali dell’Italia meridionale. Non ho bisogno di dire che il femminicidio non conosce confini né geografici né socio economici né religiosi. La tragedia si gioca in casa ed è per questo che prevale il silenzio. L’invito di Dio ad andarsene dai parenti risuona come un grido di salvezza per le donne picchiate e violentate in famiglia. Perciò chi sa e tace è colpevole; chi sa deve parlare, chi sa deve annunciare a queste donne che fuori una nuova vita è possibile. Non è una promessa vana, è la promessa del Signore a chi accetta di uscire dalla terra sterile della violenza.

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