Numeri 21, 4-9 – Una questione di guarigione (J. Perrin)

Faccio questa ipotesi: la guarigione di Dio si può tradurre nelle volontà umane di un testamento biologico! Affermazione scandalosa, offensiva, provocatrice? Non credo. Per i cristiani la vita vince la morte perché il terzo giorno la tomba è vuota e Gesù è risuscitato. Ma questa fede non ci protegge dalla morte, anzi forse ce la fa vedere più cruda, più reale, perché priva di riti superstiziosi o magici. Il problema del mondo postmoderno è complesso: oggi si può essere mantenuti in vita per anni, per decenni. Il paradosso della medicina e della scienza sta nel fatto che, in certi casi, si possa ritardare la morte. Non si può ridare la vita ma la si può allungare. All’essere umano si pone allora una domanda fondamentale: è vita questa, cioè è una vita sufficientemente degna? La guarigione di Dio è la parola chiave. Dio stesso, come nel testo di stamattina, ma soprattutto Gesù ridanno la vita laddove era andata persa, sviata o rovinata dalla malattia fisica o mentale. La guarigione è il luogo per eccellenza della presenza di Dio. Dio guarisce, perciò la vita vince la morte. E’ giusto invocare la dignità della vita come criterio nella scelta di interrompere certe cure. Ma credo che la dignità della vita non possa essere solo definita in termini etici. La dignità della vita è un’espressione moderna e incompleta della guarigione di Dio, cioè della fede in un Dio che celebra la vita, la dà e la ridà in abbondanza. Per questo la nostra fede ci chiama a rifiutare l’accanimento terapeutico, perché crediamo che esso sia solo il prolungare meccanico e tecnologico di una vita che non è più vita agli occhi del Dio che guarisce.

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