Isaia 63,15-19 (Salvatore Ricciardi)

Quando attraversiamo dei momenti difficili, sia nella nostra vita personale, sia per la situazione politica del paese in cui viviamo, e ci sembra di essere in una galleria di cui non si vede l’uscita, ci viene spontaneo gridare a Dio un “perché?” gonfio al tempo stesso di angoscia, di sorpresa e di rimprovero: Dio si è dimenticato di noi? ci ha disconosciuti come figli? non ha più voglia - o non è più in grado - di compiere uno dei miracoli per i quali si è caratterizzato nella storia di Israele e dei quali è stato generoso al tempo di Gesù? A chi altro potremmo rivolgerci se lui non ha più voglia di ascoltare? Un’esperienza di questo genere penso abbia toccato molti di noi; e toccò anche a un oscuro profeta che, in mancanza di notizie più precise, chiamiamo “il terzo Isaia”. Egli visse a Gerusalemme nel tempo in cui i reduci da Babilonia, iniziata la ricostruzione del tempio, abbandonarono il cantiere per anni, in un quadro di desolazione che rispecchiava bene lo sfilacciamento di una società disgregata, preda dell’ intreccio di egoismi diversi e contrastanti, incapace di quello scatto che avrebbe aperto le porte al cambiamento e alla speranza.

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